I mulini ad acqua sono stati impiegati per molteplici usi prima dell’era industriale. Alcuni degli utilizzi più frequenti erano:
L’acqua viene deviata da un fiume e condotta alla turbina o alla ruota idraulica attraverso un canale o una tubazione. La forza del movimento dell’acqua, unita all’effetto delle pale di una ruota, determina la rotazione dell’asse che aziona gli altri macchinari del mulino. Il passaggio dell’acqua è controllato da paratoie che permettono la manutenzione e sono una minima misura di controllo dalle inondazioni. I mulini, pur mantenendo caratteristiche tecnologiche comuni, erano strumenti studiati di volta in volta alla destinazione d’uso funzionale ai compiti che dovevano svolgere e perfettamente integrati all’ambiente prelevavano la forza motrice. In montagnosi sfruttava il salto d’acqua, quindi la forza d’urto di una maggiore pressione ma con minore portata, privilegiando la spinta”per di sotto”con ruote piccole, molto robuste e tecnologia rudimentale. In pianura, non disponendo di adeguati dislivelli nel salto dell’acqua, si optava sempre per la tecnologia “per di sotto”,ma data la grande e costante quantità d’acqua disponibile nel canale alimentazione e la bassa pressione e velocità, la ruota doveva essere molto grande e la tecnologia molto sofisticata, con le pale molto curate, al fine di catturare la maggior spinta possibile. I mulini ad acqua possono essere suddivisi in 3 categorie:
I più antichi sono i mulini orizzontali, in cui la forza dell’acqua, colpendo una ruota a pale posta orizzontalmente, in linea con il flusso della corrente, faceva ruotare la pietra della macina che era collegata direttamente all’asse di rotazione attraverso un ingranaggio. Nella maggior parte dei casi però la ruota idraulica è posta verticalmente, con l’asse di rotazione orizzontale, come nel mulino di Bairo.
La storia del Mulino di Bairo inizia contemporaneamente all’apertura della Bealera Briccaca o più comunemente conosciuto come il Canale di Caluso, avvenuta nel dicembre 1559 dopo appena 3 anni di lavoro. Opera fatta per iniziativa del maresciallo Charles de Cossè de Brisach, comandante delle truppe francesi che occupavano in quegli anni parte del Canavese. Il maresciallo ottenne, nel 1556, da Enrico II di Francia, il permesso per la costruzione di un canale per condurre l’acqua da Spineto, frazione di Castellamonte, fino alle sue terre di Caluso. In questo modo con l’irrigazione dei campi coltivati, si sarebbe assicurata l’acqua anche per i suoi cavalli e soprattutto si sarebbero potute allagare, in caso di attacco nemico, le campagne a sud di Caluso, a quel tempo attraversate da ampie zone acquitrinose per il ristagno dei coli della collina morenica. Ottenuta da Enrico II, la facoltà di derivare dal fiume Orco 48 piedi Liprandi ( = 0,514 metri circa) d’acqua e di attraversare i territori in suo dominio:
Castellamonte, Bairo, Aglié quindi arrivare a Caluso passando dai territori di San Giorgio, Montalenghe, Orio e Barone , allora sotto il dominio del Duca di Monferrato. Si diede l’incarico all’Architetto vicentino Francesco Orologi di realizzarne il progetto. L’istrumento del 20 maggio 1561, stipulato tra la Comunità di Bairo e il maresciallo Cossè de Brisach (o Brissac) conveniva che:
In seguito a tale accordo la Comunità di Bairo poteva finalmente costruire il proprio mulino e i ricavi rimanevano all’amministrazione bairese. Il mulino venne dato in affitto annualmente ad un privato che, per contratto, doveva riconoscere ai cittadini di Bairo alcune agevolazioni, in particolare nel pagamento del macinato e sui giorni di macinazione dei cereali. Nel 1776 il mulino e la pesta della canapa erano affittati a Guglielmo Perono per 682 lire e 10 soldi. Nel 1780 era composto da tre ruote da macina ed una quarta a pesta per la canapa. Nel 1820 il Comune affittava il mulino a Giuseppe Scala di Agliè per 981 lire e per 6 anni. Nel 1840 era composto da due ruote per la macinazione di meliga e segala, una ruota per il grano ed una per pestare la canapa.
Si susseguirono numerosi affittuari fino ad arrivare al 1853 quando il mulino era affittato al signor Chiarovano che, per debiti contratti durante la sua gestione, fu costretto a chiuderlo. Il fallimento del mulino comportò per il Comune di Bairo la perdita delle 1900 lire che venivano versate come affitto. Venne indetta un’asta pubblica per trovare un nuovo affittuario del mulino. L’asta ( col “rito delle candele accese”) aggiudicò il mulino, con annesso batticanapa, al signor Domenico Felizzati di Castellamonte per 5 anni, al canone di 3400 Lire.
Una lite a metà 800 contrappose la Comunità di Bairo al Regio Patrimonio, cioè il Demanio dello Stato, per via del Canale di Caluso. Con l’atto del 18 marzo 1760 il Marchese Carlo Francesco Valperga di Masino cedette la vecchia Bealera al Regio Patrimonio il quale, in qualità di proprietario, citò davanti al Regio Delegato Cav. Curti, in Castellamonte, la Comunità di Bairo.
Il vice procuratore generale, avvocato Pullino, contestò al Comune di Bairo , rappresentato dal Segretario, Notaio Pietro Giuseppe Succio, dal Sindaco Giovanni Penoncello e dai consiglieri Giacomo Trabucco e Gio Battista Pistono, la proprietà del Mulino sul Canale. L’avvocato Pullino ricordò gli obblighi assunti nel 1561 e che dal 1760, con molta noncuranza, avevano disatteso. Dopo tale lite i rappresentanti del Comune di Bairo si assunsero la responsabilità di manutenzione del Canale pur di mantenere il Mulino. Dal dicembre 1780 il Comune di Bairo si sollevò dalla manutenzione pagando un canone annuo in ragione di 250 lire.
Vennero altresì chiuse tutte le bocchette abusive fatte dai bairesi per irrigare i loro campi.
Nel 1859 il mulino era affittato al Cavaliere Enrico d’Emarese, l’affitto era stato ridotto a 2000 Lire dal Comune perché in quegli anni erano sorti altri mulini nel circondario, riducendo di fatto l’attività e quindi le entrate del mugnaio di Bairo. Negli anni 1876-77 il Comune affrontò diverse cause contro i mugnai ,tra le quali quella contro Giorgio Magario perché cessasse l’attività e risarcisse i danni arrecati ai macchinari del mulino e allo stabile. Nel 1885 l’affittavolo era Domenico Zanotti di S.Giorgio,che entrò dapprima in causa con il Comune perchè voleva entrare nella gestione senza pagare alcun canone.Il batti canapa era sotto la tettoia, la ruota di macina era costituita da nove gambini di quercia. Nel 1888 Massimo Silva subentrò come affittuario per un importo annuo di 1350 Lire. Nel 1891-96 era affittuario Giorgio Galetto per un canone di 1240 Lire. Nel 1905 il Comune di Biro diede incarico al meccanico torinese Cesare Bavero i lavori di ammodernamento, una novità su tutte fu l’installazione dell’attuale ruota e nel 1908 venne affittato per 9 anni a Pietro Mazzola di Leinì per un importo di 787 lire l’anno. Nel 1928 il mulino e il batticanapa funzionavano ancora ed erano affittati a Succio Caterina. Il giorno 11 febbraio 1937 si disputava una gara di “Licitazione privata” che assegnava la prelazione d’acquisto al sig. Giachino Pietro, marito di Succio Caterina in quanto detentore del “bastoncino più lungo”. Il 06 aprile 1937 il Comune di Bairo vendeva il Mulino al Sig. Giachino Pietro per un importo di Lire 32.000.
Dal 1937 al 1947 Pietro Giachino e il figlio Domenico gestirono il Mulino di Bairo ma, con l’avvento della seconda guerra mondiale la domanda di macinazione calò sensibilmente. I Giachino installarono quindi un impianto di segheria per il taglio di tronchi e produzione di assi. Il tutto azionato dalla forza idraulica ottenuta dalla ruota tuttora esistente. I Giachino erano notoriamente una famiglia di mugnai, Marcello, fratello di Pietro, aveva in affitto il mulino adiacente al Castello di Agliè , l’altro fratello Camillo aveva in affitto il Mulino di Grugliasco. Nel 1957 , Domenico Giachino rilevò dallo zio l’affitto del Mulino di Grugliasco e lo gestì insieme alla moglie Margherita “Rita”, la vera conduttrice del Mulino. Alla morte di Pietro, avvenuta nel 1966, il Mulino di Bairo passò quindi al fratello di Domenico, Bruno che lo gestì fino alla sua morte, nel 2006 . Il Mulino venne ereditato da Caterina Giachino in Pregno, figlia di Domenico che lo cedette ai propri figli, i signori Walter e Flavio Pregno, gli attuali proprietari. Dal 2008 al 2013 vi è stata una imponente ristrutturazione con la creazione di un’ala nuova destinata ad un uso ricettivo, mentre i locali storici del Mulino sono stati mantenuti tali.